sabato 8 dicembre 2012

GLI SCAMBISTI - THE SWINGERS


Vi proponiamo l'art. di Alberto Statera, che offre una ...rilettura del famoso esborso di € 120 milioni versati nella stiva dell'Alitalia, dietro richiesta di Silvio Berlusconi. Fatto strano, perchè, come giustamente fa notare Marcello ComettiRiva non ha chiesto mai di riaprire l'aeroporto di Taranto (che farebbe tanto comodo ai suoi dipendenti), ne tanto meno aveva interessi a fare business con gli aerei: tutti sapevano che l'Alitalia era ed è in pessime acque). 

                    gli articoli di Marcello Cometti sulla Gazzetta

a.statera@repubblìca.it

I "patrioti", alias "capitani coraggiosi” o "cavalieri bianchi", selezionati quattro anni fa per salvare l'Alitalia da Silvio Berlusconi e da Corrado Passera, allora capo di Banca lntesa e oggi ministro delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico, se continua così potranno darsi appuntamento, in qualche aula di giustizia o in qualche penitenziario. L'ultimo del club patriottico vestale dell' "italianità " finito agli arresti per le accuse di corruzione, concussione e associazione a delinquere, di nome non fa Silvio Pellico, ma Emilio Riva, quel vecchio padrone delle ferriere che una quindicina d'anni fasi prese l'acciaio di Stato dell'Ilva attraverso una delle tante privatizzazioni "farlocche" (copyright Matteo Renzi) e che ha continuato, secondo le accuse, ad avvelenare gli abitanti di Taranto.
Prima di lui era finito in ceppi con l'accusa dì truffa aggravata Francesco Caltagìrone Bellavista, mentre l'altro patriota Salvatore Ligresti le sue prigioni le aveva già fatte ai tempi dì Tangentopoli e oggi è di nuovo indagato anche inseguito al dissesto del suo gruppo. Ma è Riva, che le agiografie descrivono come un ex fattorino che sì è fatto da sé da "rottamaio" a grande capitalista dell'acciaio, il più patriota tra i venti patrioti che nel 2008 furono precettati da Berlusconi per salvare l'Alitalia e sottrarla alle grinfie degli invasori d'Oltralpe.
Fu lui, infatti, che sborsò 120 milioni di euro per accollarsi il 10 per cento dell'ex Compagnia di bandiera, divenendone il primo azionista italiano dopo Air France. E' vero che per uno che con l'Ilva ha incamerato utili per miliardi in pochi anni quei milioni sono un sacrificio tollerabile e che, alla fine, la folle operazione berlusconiana l'abbiamo pagata tutti noi italiani. Ma che cosa ebbe allora in cambio l'ex rottamaio di residuati bellici ben noto per il suo "braccino corto"?
Mentre la Cai, la nuova Alitalia privata, va giù a precipizio, come segnala nel suo ultimo libro ("Banchieri & Compari") Gianni Dragoni, avendo mangiato in tre anni quasi un miliardo e 200 milioni, si comincia a guardare alla strana storia dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) rilasciata dal governo Berlusconi all'Uva. Per concederla si batté come una leonessa l'allora ministra dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo e qualcuno disse che fu disegnata su misura come un tailleur sullo stabilimento di Taranto. La commissione Aia incaricata di redigere il verdetto fu riempita dì ignoti personaggi soprattutto siciliani, come la ministra, e presieduta da tale Fabio Ticalì un trentenne, autore di una pubblicazione sul "ravaneto", che è nelle cave di pietra quel luogo in pendenza dove si accumulano i detriti, che con l'aria alla diossina di Taranto sembra non c'entri molto. Del resto, come dice in una telefonata Fabio Riva, figlio del patron, due casi di cancro in più che saranno mai, se non "una minchiata"?
Anche questa storia, tra le mille dell'epoca berlusconiana, temiamoci riserverà altre nauseanti sorprese, tanto che oltre alle singole inchieste andrebbe in vacato una sorta Gran Giurì su tutte le nefandezze del berlusconìsmo. Intanto, per favore, nessuno osi più chiamare patrioti i molti ceffi del capitalismo italico.


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